venerdì 16 marzo 2018

PARASHA' VAYIKRA'

Prima di comunicare a Mosheh le leggi riguardanti i sacrifici, D-o lo chiama per nome. I nostri Maestri spiegano che il fatto di chiamare la persona prima di comunicarle il messaggio è un segno di considerazione e di amore e ci insegnano che D-o ha voluto così dimostrare il suo amore per Mosheh e per il popolo ebraico.

   Questo tema viene ripreso nella Haftarah che comincia con questo versetto “Ho creato questo popolo per Me, affinché esso canti la Mia lode”. Ogni Ebreo, qualunque sia la sua provenienza o il suo stile di vita, esiste al solo scopo di esprimere – ed in effetti esprime – la lode di D-o.

   Nelle nostre relazioni con il prossimo noi dovremmo rispecchiare queste vie divine. Dovremmo sempre predisporci a riconoscere come tutto il nostro prossimo “canata la lode di D-o” e lavorare su noi stessi e su di loro per accrescere e sviluppare questa lode.

   Il brano della Torah stesso è incentrato sui sacrifici offerti nel Santuario nel deserto e più tardi nel Tempio di Yerushalayim. La parola ebraica per sacrificio è qorban che viene dalla radice qarov che significa vicino. I sacrifici sono il mezzo tramite il quale si realizzano la vicinanza e l’intimità tra D-o e l’uomo, e, in un senso più lato, fra D-o e ogni aspetto del mondo.

Quando una persona offriva un sacrificio il suo intento era di avvicinarsi a D-o. Ogni persona ha una scintilla divina dentro di sé, un potenziale spirituale che è infinito e illimitato, come lo è D-o. Ed ogni persona ha una natura animale, una parte della sua personalità che si preoccupa delle sue esigenze fisiche: mangiare, bere, dormire e tutte quelle cose che le procurano una qualche soddisfazione materiale.

   È forse questo male? No. Ma sarebbe una vergogna se la persona facesse solo questo in tutta la sua vita. Sarebbe uno spreco terribile se, invece di aggiungere qualcosa al mondo e di migliorarlo quella persona fosse dedita soltanto alla gratificazione delle sue esigenze e dei suoi desideri.

  Ci deve essere un processo di comunicazione fra le due componenti della creatura umana. Abbiamo bisogno di un punto d’incontro, un’unione delle due vie che ci assicuri che la nostra esperienza spirituale non appartenga ad un altro mondo e che la nostra esperienza fisica sia permeata di un significato e di una profondità che solo a consapevolezza spirituale può dare.

  Questo era lo scopo dell’offrire un sacrificio. Era un processo di crescita nel quale la persona elevava la sua parte animale, insegnandole a guardare in alto e a riconoscere uno scopo più elevato.

   Sull’altare bruciava il fuoco divino, fiamme che discendevano miracolosamente dal cielo.

Questo viene paragonato al fuoco divino che ognuno alberga nel suo cuore. Offrire un animale su quell’altare e farlo consumare dal fuoco divino corrisponde ai nostri sforzi di portare il fuoco della spiritualità dentro la nostra esperienza materiale di ogni giorno.


Preso da "Il filo diretto" a cura di Naar Israel e basato su un discorso del Rebbe

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