Shabbat Bereshit 5765
LO SHABBAT: VOLARE ALTO
מזמור שיר ליומ השבת
“Salmo, canto per il giorno di Shabbat”
(Salmo 92,1)
“Fu Adam a recitare questo salmo alla vigilia dello Shabbat,
quando egli fu creato. Subito dopo Adam trasgredì e fu punito e, nell’ora
dodicesima del sesto giorno, venne cacciato dal Giardino dell’Eden. H. in
realtà aveva già decretato la sua condanna a morte, ma lo Shabbat entrò e ne
determinò la semplice espulsione. Adam allora aveva l’intenzione di intonare un
inno allo Shabbat, per merito del quale era stato salvato dalla pena capitale;
ma lo Shabbat gli disse: “Intoniamo piuttosto, tu ed io, un inno al
S.B.!”. Come è detto (subito dopo): תוב להודות להי “E’
cosa buona ringraziare H.”.
Con questo Midrash R. David
Qimchi (Radàq), il celebre esegeta spagnolo del Medioevo, introduce il suo
commento al “Salmo che i Leviti cantavano nel Bet ha-Miqdash nel giorno
di Shabbat, dando conto di un titolo che in apparenza poco o nulla
c’entra con il contenuto del brano. Il Salmo parla infatti di punizione e
ricompensa. Che legame può esserci fra il tema della Giustizia Divina e lo Shabbat?
Pirqè de-Rabbì Eli’ezer, 18
spiega che quando H. si rivolse al primo
uomo dicendogli: “dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne devi
mangiare, perché nel giorno in cui tu ne mangiassi, certamente moriresti” (Gen.
2,16) ed egli ne mangiò, lo Shabbat assunse la funzione di avvocato difensore.
“Signore dell’Universo – argomentò – nessuna creatura è stata uccisa durante i
sei giorni della Creazione. Vorresti proprio cominciare da me? E’ questo il mio qiddush? E’
questa la mia berakhah? Non è forse scritto: “D. benedisse il giorno settimo e
lo santificò” (2,3)?
Per il merito dello Shabbat,
dunque, Adam fu salvato dal Giudizio divino. Il primo uomo allora disse: Tutte
le generazioni devono sapere che chiunque riconosce le sue colpe e le abbandona
sarà salvato dal Giudizio Divino, come è detto (subito dopo): תוב להודות להי “E’ cosa buona confessare ad H.” Il
Midrash continua dicendo che l’Uscita di
quel primo Shabbat Adam era tutto preso dal pensiero della sua
debolezza, finché gli fu mandata una colonna di fuoco a dargli luce e a
proteggerlo da tutti i mali, cosa che lo rallegrò. Egli stese le mani verso di
essa e recitò la Berakhah Borè Meorè ha-Esh (Benedetto tu H., Creatore dei
Luminari di Luce); dopodiché soggiunse: “D’ora in poi so che la giornata sacra
è separata dalla giornata lavorativa, perché non si può accendere il fuoco di Shabbat
e proclamò: Benedetto tu H. che distingui il sacro dall’ordinario, la luce
dalle tenebre.” Nacque così la cerimonia della Havdalah.
Il Midrash finisce qui, ma
l’episodio non rimase senza conseguenze per la storia dell’umanità. In Bereshit
Rabbà (22,28) si racconta che dopo l’omicidio di Hevel commesso da Qayin,
quest’ultimo incontrò suo padre Adam, il quale gli domandò: “Come ti ha
giudicato il Tribunale Celeste?” Qayin rispose: “Mi sono pentito e la mia
punizione è stata cancellata”. Adam reagì esclamando: “Non mi ero reso conto di
quanto grande fosse il potere della Teshuvah!”. Immediatamente si diede
a comporre il “Salmo, canto per il giorno di Shabbat”.
La lettura di questo Midrash
ci suscita alcune riflessioni. Esiste una dimensione dello Shabbat poco
conosciuta ed è la sua drammatica forza espiatrice. La stessa parola Shabbat
può essere ricondotta alla radice shav, “ritornare” o “pentirsi” e le
lettere dell’espressione השבת possono
prestarsi ad essere anagrammate in תשבה, “pentimento”. Lo Shabbat è dunque il giorno particolarmente
dedicato all’introspezione e al miglioramento di sé.
Ma il Midrash ci insegna
ancora che ciò si ottiene mediante due operazioni: קידוש e הבדלה. La
santificazione può essere identificata con quello che oggi chiamiamo un alto
profilo, saper “volare alto” in tutte le relazioni. Una volta che abbiamo fatto
nostra questa dimensione dello spirito, che sola ci consente di elevarci al di
sopra delle nostre piccolezze e debolezze nella vita di tutti i giorni,
possiamo finalmente esercitare il discernimento ed imparare a distinguere fra
ciò che importa di più e ciò che merita di meno, fra ciò che vale la pena e lo
sforzo di combattere per esso e ciò che ci attira verso fatiche vane e
battaglie senza senso, “fra il sacro e l’ordinario, fra la luce e le tenebre”.
Non sarà a questo punto un puro
caso, che la lettura annuale della prima Parashah della Torah,
con il suo racconto sulle origini del mondo, dell’uomo e di quel pregevole dono
chiamato Shabbat, sia collocata non in coincidenza con Rosh haShanah, ma
solo una volta trascorso l’intero periodo particolarmente dedicato alla Teshuvah.
Solo attraverso la Teshuvah noi acquistiamo quella consapevolezza e
quella capacità di distinguere fra il bene e il male che ci consente, in un
secondo momento, di volgerci dall’intimo all’esterno, di affrontare la realtà
con la forza di chi è chiamato a collaborare con D. nella Sua costante opera di
rinnovamento della Creazione, in una tensione costante verso l’Alto.
Shabbat Shalom, Rav Alberto
Moshe Somekh
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